
Non sempre la percezione del rischio corrisponde alla sua realtà e questa è una cosa importante da considerare in tema di sicurezza sul lavoro. Molto frequentemente infatti la percezione differisce dalla realtà, poiché la percezione spesso la filtra attraverso dati, esperienze, retaggi, ecc…e non è una foto della realtà e ciò influisce sul nostro comportamento. Spesso la nostra mente si concentra su ciò che ci piace ed utilizza i cosiddetti BIAS di conferma, cioè dei meccanismi automatici che ci fanno attribuire maggior peso a ciò che conferma le nostre ipotesi.
Ma è più importante il DVR o la percezione del rischio?
Vediamo di rispondere argomentando.
Quando in una data situazione ci mancano delle informazioni, di norma le aggiungiamo noi, in base a ciò che ci fa comodo. La nostra percezione è influenzata dalle nostre esperienze passate, dal senso o meno di controllo, dai nostri valori e dai nostri pregiudizi. Pensiamo ad un esempio di irrazionalità: la paura del volo. Il 40% dei passeggeri hanno paura, mentre molti meno hanno paura dell’auto eppure i dati dimostrano che le probabilità di morire in un incidente aereo sono di moltissimo inferiori a quelle di morire in un incidente d’auto.
E allora? Da cos’è motivata la nostra paura?
Beh… l’aereo non lo guidiamo noi e poi se cade si muore, e poi ci sono i mass media che in caso d’incidente diffondono la notizia in un certo modo. Anche la casa, statisticamente è più pericolosa dell’ambiente di lavoro (numero di infortuni e morti molto superiori) eppure in casa generalmente ci sentiamo al sicuro.
Quindi la valutazione della realtà (dato oggettivo) e la percezione (dato soggettivo) sono spesso diverse; la mia percezione può essere di sovra o di sottostima del rischio.
Pensiamo al Covid; qui abbiamo i negazionisti, che sottostimano il rischio, i complottisti che… tanto non c’è nulla da fare perché è tutto già deciso dai poteri forti e i paurosi i quali sovrastimano il rischio.
Il rischio però non è solo un concetto negativo, infatti su molte persone esercita un certo fascino; la propensione al rischio è un tratto della personalità abbastanza stabile. La propensione dipende dall’autostima, dalla sicurezza in sè, dalle esperienze passate, dalle proprie aspirazioni.
Il rischio fa provare adrenalina, no? Chiedetelo a chi pratica gli sport estremi…
Spesso al rischio si associano coraggio, audacia, successo e quindi, se aspiro a fare l’eroe, ciò può essere premiante e motivante. E poi i proverbi? La fortuna aiuta gli audaci, chi non risica non rosica, ecc… tutto detti che sembrerebbero conferire una connotazione positiva a chi rischia.
Anche l’età ed il genere hanno il loro peso, infatti i giovani tendono a sottostimare il rischio ed il genere maschile tende ad essere più propenso al rischio. Anche l’abitudine non ci aiuta; infatti, se facciamo molto spesso una certa cosa, per risparmiare energie mentali spesso inseriamo il… pilota automatico, senza pensare a ciò che facciamo e ciò aumenta il pericolo cui ci esponiamo.
Il D. Lgs. 81/08 all’ Art. 28, obbliga il datore di lavoro a valutare il rischio tenendo conto delle differenze di genere, età, provenienza e inquadramento contrattuale del lavoratore, anche perché tutti questi parametri possono influire sulla percezione del rischio e/o sulla disponibilità o meno del lavoratore ad esporsi in un determinato modo.
Ci sono poi le dinamiche di gruppo; il senso di approvazione mi influenza, eccome! Spesso si tende ad emulare chi è più “coraggioso” e rischia di più, anche per senso di appartenenza.
Skinner, psicologo americano degli anni 50, ha introdotto la teoria comportamentale, parlandoci di rinforzi (premi) e punizioni: se ad un comportamento associamo un beneficio o al contrario, un danno, ne saremo influenzati ed in futuro ci ricorderemo di tenerne conto, eccome!
La prevenzione non è psicologicamente attraente poichè fornisce disagi (scomodità per esempio nell’usare i DPI) immediati e vantaggi differiti nel tempo (la salute); è la dirigenza che deve saperla rendere più attraente.
Ad esempio possiamo fare formazione; ma come si calcola la “resa” della formazione, al di là degli obblighi?
La formazione può influire sui comportamenti, facendo conoscere norme e concetti che aumentino la consapevolezza del lavoratore. Cerchiamo di favorire una partecipazione più attiva dei lavoratori e probabilmente varieranno atteggiamenti e comportamenti.
E’ importante poi misurare la percezione del rischio, in modo da poter sapere se e quanto si distanzia dal rischio valutato nel DVR: dobbiamo cercare il più possibile di far coincidere questi due valori.
Nei confronti dei lavoratori che sottostimano il rischio, dovremo cercare di favorire una loro responsabilizzazione, mentre verso coloro che lo sovrastimano dovrò cercare di avere un atteggiamento rassicurante.
Come vedete, gestire il rischio non è facile, poiché ci sono da coniugare esigenze legislative, produttive, psicologiche ed umane.